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Secondo la tradizione cattolica, condizione temporanea dell'aldilà in cui le anime di coloro che, pur morendo in stato di grazia, devono espiare i peccati veniali e i peccati mortali già perdonati, sono per volere divino assoggettate all'espiazione.
Trova le sue radici nel libro dei Maccabei e nelle lettere di san Paolo ai corinzi.
La posizione ufficiale della Chiesa cattolica fu espressa per la prima volta nel concilio di Lione II (1274), in una forma tale da non compromettere l'unione allora tentata con la Chiesa greca.
I greci negavano infatti che il purgatorio fosse un luogo e in particolare che vi fosse un fuoco purificatore e ammettevano soltanto uno stato di imperfezione dopo la morte al quale si poteva essere sottratti dalle preghiere dei vivi.
Per conseguenza il concilio parlò solo di pene purgatorie alleviate dai suffragi. In forma molto simile (senza parlare di un luogo, ma facendo di "purgatorio" un sostantivo invece che un aggettivo) si espresse il decreto di unione approvato dal concilio di Firenze (1439), ma rifiutato dalla Chiesa ortodossa.
La Riforma protestante negò il purgatorio e la liceità delle indulgenze delle buone opere, mentre la Chiesa anglicana non prese posizione sul problema. La teologia cattolica moderna individua il purgatorio come la condizione in cui i morti nel Signore attendono il compimento individuale e universale.
Le poche indicazioni ufficiali sul reale paesaggio del purgatorio diedero vita, soprattutto nel Medioevo, a un proliferare di leggende e descrizioni più o meno fantasiose. Non esiste quindi solo il purgatorio dantesco, ma prima di esso molti altri, frutto della fantasia popolare.