LA LIRA

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marina53
00martedì 29 giugno 2004 16:29
L'origine della lira, anche se non nei termini in cui la consideriamo noi oggi, è molto antica. Il suo nome deriva infatti dalla libbra, una misura di peso che usavano i Romani e che corrispondeva a circa 325 grammi. Fu con la riforma di Carlo Magno, tra il 780 e il 790, che avvenne la trasformazione della libbra in un sistema di pagamento. Il grande conquistatore istituì come unica moneta il denaro argenteo e stabilì che per ogni libbra d'argento si ricevessero in cambio 240 denari. In verità il denaro d'argento era una moneta piuttosto scomoda: non aveva multipli e per le transazioni di portata più rilevante, come la compravendita di terre, schiavi o cavalli, ne occorrevano centinaia, se non migliaia. Per evitarsi calcoli troppo complessi, la gente comune, e soprattutto i mercanti, trovarono assai più pratico iniziare a dire "1 lira", al posto di "240 denari", e allo stesso modo "10 lire e 100 denari", invece di "2500 denari". Così il concetto di lira si affermò ed ebbe diffusione nel linguaggio quotidiano, pur non esistendo nella realtà alcuna moneta con quel nome.

La lira dunque era una moneta fantasma, ma la cosa curiosa è che rimase tale per quasi mille anni! E altrettanto curioso è che la futura moneta italiana avesse conquistato quasi tutto l'Occidente cristiano dell'epoca, fino alla Manica, senza mai spingersi più a Sud di Roma, dove perdurò il sistema monetario romano-bizantino o si affermò l'influenza della moneta araba. Una grande svolta ci fu in occasione dell'unificazione italiana, quando si trattò di adottare un sistema monetario comune per il neonato mercato interno. Nelle province che fra il 1859 e il 1861 venivano mano a mano annesse al regno sabaudo, Vittorio Emanuele II estese, in sostituzione delle monete locali, la lira nuova di Piemonte, da allora in poi chiamata lira italiana, e la pose su base bimetallica al rapporto oro-argento di 1:15.5.

Le prime "1 lira", quelle degli anni 1861 e 1862, erano in argento 900. Dall'anno successivo fu usato per il conio l'argento 835, tranne che per le monete da 5 lire o valori superiori, che rimasero nel metallo più pregiato. D'argento erano anche i pezzi da 20 e 50 centesimi, mentre le monetine più piccole erano di rame. Da subito la nuova moneta si trovò ad affrontare una situazione critica, quando il 1° maggio 1866 il governo emanò il famoso decreto che istituiva il corso forzoso della lira, che dichiarava l'inconvertibilità della carta moneta in circolazione in metallo prezioso. Il corso forzoso venne poi abbandonato nel 1881, restituendo fiducia nella moneta italiana sui mercati finanziari. E anche se la stabilità monetaria non era assoluta, negli anni tra l'unificazione italiana e il 1914 le fluttuazioni furono piuttosto contenute e si accompagnarono a un notevole incremento del reddito pro-capite. Il primo conflitto mondiale inaugurò invece una nuova era, caratterizzata da una veloce corsa dell'inflazione. Basti pensare che, se nel 1914 occorrevano 3.48 lire per acquistare un grammo di oro, nel 1921 ne servivano 15.68. Il carovita acuì la protesta sociale che stava crescendo nel paese: nel biennio 1919-1921 un'ondata di scioperi, disordini e violenze travolse la penisola e aprì la strada all'affermarsi del fascismo. Tra le politiche economiche che il governo Mussolini intendeva perseguire vi era la rivalutazione della lira. Verso la fine del 1925, infatti, l'aumento della circolazione monetaria, che aveva sostenuto la crescita industriale, iniziava a mostrare i lati negativi dell'inflazione e della svalutazione sui mercati esteri.

A coronare una serie di manovre stabilizzanti, venne il 18 agosto 1926 l'annuncio dell'apprezzamento della moneta nazionale a un livello molto alto: occorrevano infatti 90 lire per ogni sterlina, quando il cambio corrente era arrivato a 145-150 lire. La scelta della "quota novanta" era dettata non solo da ragioni economiche, ma anche da considerazioni di prestigio internazionale e dalla ricerca del consenso delle classi medie, che vedevano rivalutati i propri risparmi. Con il nuovo secolo, precisamente a partire dal 1936, le monete da 1 lira persero la prerogativa della composizione argentea: fece la sua comparsa il nichel, seguito a ruota dall'acmonital, una lega formata da acciaio, cromo, nichel e vanadio, usata ancora oggi per le 50 e 100 lire. L'inflazione frattanto non si arrestava, e crebbe a dismisura con la seconda guerra mondiale: nel 1943 l'oro valeva 21.38 lire al grammo, solo due anni dopo già 112.53 lire e nel 1948 il suo prezzo era di ben 646.64 lire. Gli anni Cinquanta e Sessanta segnano il periodo del "boom", della miracolosa ripresa dell'economia italiana.

La lira rappresenta in quegli anni per gli Italiani la speranza in un futuro più prospero. E poco importa se la moneta base che la zecca mette in circolazione, quella da 1 lira, è uno spicciolo di appena 17 millimetri di diametro, che pesa poco più di mezzo grammo ed è fabbricato con un materiale poco nobile come l'italma, una lega a base di alluminio e magnesio. Quello che conta è il simbolo di rinascita che porta con sé, la voglia di farcela, a dispetto della guerra appena conclusa e della povertà ancora diffusa, in un periodo in cui la gente canta "Se potessi avere mille lire al mese…". Questo sentimento concorre a far entrare la lira nell'immaginario collettivo, a farne un mito, come avviene anche per la Vespa e per la Fiat 500, che sono emblemi di relativa agiatezza, ma soprattutto di una gioventù ruggente e di libertà. Non è un caso che sul dritto della moneta, che entra nelle tasche degli Italiani a partire dal 1951, sia raffigurata una cornucopia, simbolo dell'abbondanza.
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