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PAESI DEL LAZIO

Ultimo Aggiornamento: 05/07/2006 11:52
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05/07/2006 11:52

MARINO
LA STORIA DI MARINO (RM)


I territorio di Marino fu abitato fin dalla preistoria da popolazioni latine, stanziatesi circa tremila anni fa intorno ai laghi e sulle alture dei Monti Albani. Di alcuni centri abitati, che facevano parte della Lega Latina, sono stati tramandati i nomi dagli antichi storici: Bovillae (Frattocchie), Mugilla (S. Maria delle Mole), e Ferentum (Marino); nei boschi del quale, presso la sorgente della ninfa Ferentina, si svolgevano le Feriae Latinae, l'assemblea generale annuale delle 47 città confederate, aventi per capitale Albalonga. AI primo periodo delle lotte civili risalirebbe la fondazione dell'attuale centro abitato di Marino, che compare fra le città fortificate da Silla con il nome di Castrimoenium. Dall'ultimo periodo della repubblica in poi il territorio di Marino fu costellato di grandi ville patrizie, fra le quali vanno menzionate almeno quella dei Valeri Messala e di Voconio Pallione; mentre Bovillae conobbe una rinascita urbana a partire dall'età augustea. A seguito della distruzione di questa città, avvenuta nell'anno 846 d.C., gli abitanti della pianura, troppo esposti alle scorrerie dei saraceni, si rifugiarono sulle alture interne, nell'antico castello che andò così ripopolandosi intorno al Mille, risorgendo con il nome di Marino. Dominio dei Conti di Tuscolo fin dal 1090, Marino divenne in seguito feudo dei Frangipane. Nel 1230 la castellana fu Giacomo dei Normanni, nota pure come Jacopa de' Settesoli, vedova di Graziano Frangipane e devota amica di san Francesco. Dal 1266 il castello passò agli Orsini. Nel 1272 san Bonaventura, vescovo di Albano, durante una visita alla chiesa di S. Lucia, vi avrebbe fondato la prima confraternita d'Italia. Nei 1347, durante la permanenza del papato ad Avignone, il tribuno di Roma, Cola di Rienzo, assediò invano Marino per piegare la resistenza baronale nel Lazio capeggiata dagli Orsini, ma riuscì soltanto a espugnare la fortezza di Castelluccia. Un episodio bellico di rilevanza nazionale avvenne nel 1379 nei pressi di Ma rivo: il capitano di ventura Alberico da Barbiano, sostenitore del papa Urbano VI, affrontò e vinse le truppe francesi dell'antipapa Clemente VII. Giordano Orsini ripudiò il figlio Giacomo, che aveva parteggiato per il papa, quindi lasciò in testamento il castello di Marino al nipote Onorato Caetani di Fondi Nel 1419 i Colonna acquistarono Marino da Cristoforo Caetani per 12.000 fiorini d'oro e vi rimasero come proprietari fino al 1914, dopo aver restituito il feudo alla Chiesa nel 1816. li 20 gennaio 1489 Agnesina di Montefeltro, figlia di Federico II duca di Urbino, si sposò a Marino con Fabrizio Colonna. Da loro nacque nel 1490 Vittoria, la celebre poetessa amica di Michelangelo. Nel 1494 a Marino fu tenuto in ostaggio Cesare Borgia. L'anno seguente vi sostò il re di Francia Carlo VIII, durante la sua spedizione contro Napoli, Nel 1526 vi trovò ospitalità il duca dl Ferrara Alfonso II d'Este inseguito dalle truppe del papa Giulio li. Nel 1526 Clemente VIII inviò truppe papali e velletrane per saccheggiare Marino che parteggiava per l'impero. Papa Pio V diede l'incarico diplomatico a Marcantonio Colonna, signore di Marino, di promuovere una lega santa contro i turchi; quindi gli affidò il comando della flotta pontificia. La domenica 7 ottobre 1571 a Lepanto fu conseguita la vittoria tanto sperata. Al suo ritorno gli fu tributato un trionfo degno di un antico condottiero romano. Nei rivolgimenti politici seguiti all'occupazione francese (1798) Marino parteggiò per la causa rivoluzionaria. Anche in seguito i marinesi si contraddistinsero per le simpatie risorgimentali e massoniche. Papa Gregorio XVI conferì a Marino nel 1835 il titolo di città.

COSA VISITARE A MARINO

Mitreo

Mitreo di Marino, fin dal momento della scoperta, nel 1962, ha costituito un evento scientifico e storico-artistico di rilevanza internazionale, in quanto per la conservazione delle sue pitture costituisce un monumento unico, il meglio in assoluto di quelli conservati in Italia e tra i più spettacolari di tutto il mondo antico.
Il mitreo fu ricavato nella seconda metà del II secolo a.C., in una antica cisterna, scavata a galleria nel tufo della collina e coperta a botte: sappiamo infatti che i mitrei prediligevano gli ambienti sotterranei grotte naturali o artificiali, la cui volta rappresentava l'arco del cielo sottende precise credenze ed esigenze religiose.Sulla parete di fondo fu dipinta l'immagine di culto, alla quale si rivolgeva la devozione dei fedeli che frequentavano il santuario. La figurazione, spettacolare anche per dimensioni, 2,5 m di larghezza per 1,8 di altezza, rappresento il dio nella caverna (simbolo della Terra coperta dalla volta celeste), vestito del costume orientale (berretto frigio, corto tunica, calzoni lunghi e stretti alle caviglie), con un ampio mantello svolazzante; le vesti sono impreziosite da stelle dorate, che simboleggiano il firmamento, con astri più grandi che rappresentano i Sette Pianeti.

Basilica di S. Barnaba

A piazza San Barnaba si erge il più importante e imponente fra gli edifici sacri di Marino: la Basilica Collegiata di San Barnaba Apostolo, progettata da Antonio Del Grande ed eretta per ordine dei cardinale Girolamo Colonna nel 1640. La facciata, del 1653, è di gusto moderato barocca come l'interno, a croce latina, ripartito in tre navate ampie e luminose. Dietro l'altare maggiore è collocato un grande dipinto di Bartolomeo Gennai che rappresenta il martirio del Santo. Sul primo altare, a sinistra, si ammira il Martirio di san Bartolomeo, opera del Guercino; sul secondo, a destra, è la Madonna del Carmelo di Luigi Gozzi. All'inizio della navata destra è collocato il dipinto di F. Rosa, raffigurante il trapasso di san Francesco Saverio. Nella prima cappella è notevole la statua di sant'Antonio Abate, opera barocca di Ercole Ferrata.Nella seconda cappella, detta del SS. Rosario, è collocata nella teca di un pilastro la memoria della battaglia di Lepanto: un frammento ligneo di scudo turco o cristiano, offerto come ex voto alla Vergine della Vittoria.

Chiesa della SS. Trinità

Situata lungo corso Vittoria Colonna, l'edificio sacro, parrocchiale dal 1984, fu eretto nel 1640 per ospitare i Chierici Regolari Minori. All'esterno presenta una scala doppia con balaustra, su cui si slancia un'alta facciata, decorata con un riquadro di maioliche dipinte, rappresentanti san Francesco Caracciolo. L'interno è a una sola navata con cappelle laterali. Degno di nota è il Crocifisso dipinto su peperino nella seconda cappella a sinistra. La principale opera d'arte è la rappresentazione del mistero della SS. Trinità, dietro l'altare maggiore, opera già attribuita a guida Reni, oggi ritenuta dell'allievo Giovar Francesco Gessi.

Chiesa di S. Maria delle Grazie

Posizionata sul lato settentrionale di p. Garibaldi, già proprietà della Confraternita del Gonfalone, la chiesa fu ceduta nel 1580 agli Agostiniani che vi rimasero fino al 1954, quando divenne parrocchiale. Restaurata nel 1635, presenta una navata unica con cappelle laterali. Nella seconda a destra si può ammirare San Rocco, un dipinto attribuito al Domenichino Sull'altare maggiore, all'interno di un'edicola, un affresco del XV sec., ritenuto di Benozzo Gozzoli, mostra la Madonna delle Grazie nell'atto di proteggere i confratelli sotto il suo ampio manto. A fianco della chiesa, attraverso un portale, si accede al converte, di cui restano un pregevole chiostro e vasti ambienti un tempo variamente decorati.

Chiesa del SS. Rosario

Si erge sul lato meridionale di p. Garibaldi, perfettamente inserita nel corpo del monastero delle suore domenicane, fondato da suor Maria Isabella della famiglia Colonna nel 1678. La chiesa fu edificata nel 1713 dall'esordiente architetto Giuseppe Sardi. II piccolo capolavoro in stile rococò presenta all'interno motivi scenografici desunti solo in parte dal Borromini. La cupola, a volta ribassata, è ornata di intrecci geometrici a stucco, mentre le cappelle laterali e le nicchie mostrano figure e simboli dell'Ordine domenicano

Museo - Memorie di guerra

Il Museo di oggetti di vita quotidiana sotto le bombe si estende nella stessa grotta, al civico nr.7 di largo Palazzo Colonna. Dove la popolazione civile marinese visse per mesi in attesa della liberazione e dove i reperti si sono conservati per oltre cinquanta anni, prima di ritornare a nuova attenzione.

Museo di Arti e Tradizioni Popolari

Il Museo, aperto al pubblico da ottobre del 2002, è nato dall'esigenza anzitutto di conservare gli arnesi da lavoro di artigiani e di contadini propri della più tipica e secolare attività produttiva di Marino: il vino. Quindi di fornire informazione, in forma didattica e divulgativa, sui passati sistemi di lavoro.

Museo Civico di Marino

Il Museo Civico conserva oggetti dell'età preistorica e romana: iscrizioni, sculture, vasi, antefisse, frammenti architettonici e decorativi, insieme ad altri reperti d'età medioevale, provenienti dalla Chiesa di Santa Lucia. Il Museo Civico di Marino, inaugurato nel mese di Maggio del 2000, raccoglie l'eredità lasciata dalla precedente Antiquarium Comunale, che aveva la sua sede nella Sala dei Papi di Palazzo Colonna.



( tratto dal sito http://www.prolocomarino.it/ )
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06/06/2006 15:09

LA STORIA DI ALBANO LAZIALE (Roma)
LA STORIA

La tradizione, confermata dall'archeologia, vuole che il nome della città di Albano sia derivato direttamente da quello di Albalonga. Infatti anche gli antichi romani chiamavano questo territorio albanum e lo ritenevano luogo sacro, dove un giorno sorgeva appunto la mitica Albalonga. A ragione quindi la nostra città può fregiarsi del titolo di "madre di Roma" e, nello stemma municipale, dell'icona sacra ai Latini e ad Alba: la scrofa bianca con i trenta porcellini. Nel territorio di Albano sono stati rinvenuti importanti reperti dell'antica Civiltà Laziale (X-VII sec. a.C.), oggi custoditi nel Museo Civico della città, insieme alle memorie archeologiche che giungono ininterrottamente fin dall'età paleocristiana. Favorito dal tracciato dell'antica Via Appia, dall'invidiabile posizione naturale e dal clima mite, l'albanum divenne ben presto sede delle ville degli imperatori e dei massimi personaggi della vita pubblica dell'antica Roma: Pompeo Magno, Tiberio, Claudio Domiziano, per fare solo pochi nomi, ebbero qui le loro favolose residenze. Ma l'assetto topografico dell'albanum cambiò con la costruzione dell'imponente accampamento della Legione Partica, voluto dall'imperatore Settimio Severo per ragioni di sicurezza. I legionari che si stanziarono nel castrum vivevano con le proprie famiglie, ed insieme ad artigiani e commercianti, formarono un consistente aggregato urbano. L'affermarsi del cristianesimo, documentato nelle Catacombe di San Senatore, favorì ulteriormente lo sviluppo della città. La presenza della cattedra di una delle più prestigiose sedi vescovili della Chiesa Romana diede impulso alla costruzione di numerose chiese, che racchiudono ancora oggi tesori d'arte. Spicca la Cattedrale, voluta espressamente dall'imperatore Costantino. Dopo la parentesi medievale, dominata dalla Casata Savelli, numerosi sono i palazzi costruiti dal Rinascimento in poi dalle famiglie patrizie romane, che trascorrevano in questi luoghi gli ozi estivi. Proprio verso il XVI secolo comincia quello sviluppo urbanistico di piazze, strade e palazzi patrizi che diedero l'attuale assetto al centro storico e di cui il quartiere San Paolo è un esempio tipico, con il suggestivo tridente barocco che, dal sagrato della Chiesa di San Gaspare del Bufalo, conduce lo sguardo fino al mare. Con l'acquisto da parte della Camera Apostolica dei possedimenti dei Savelli, Albano seguì le vicissitudini delle cittadine laziali facenti parte del Regno Pontificio. Nel corso del 700 e dell'800 divenne meta obbligata del "Gran Tour" di poeti, letterati, storici e pittori, che venivano a ritrarre le attrattive della campagna romana e delle sue abitanti. Era di Albano la modella più ritratta di quel periodo, la bellissima, casta e sfortunata Vittoria Caldoni, immortalata in centinaia di tele e disegni da moltissimi artisti, mai paghi del risultato del loro sforzo di fissare il segreto della sua calma bellezza. Due episodi dolorosi funestarono la tranquilla vita della cittadina di artigiani e contadini, che producevano il rinomato vino dei Castelli: il terremoto del maggio 1829 e l'epidemia di colera del 1867, di cui rimane memoria nel "cimitero del colera o degli appestati", adiacente alla chiesa della Stella. Soggiornarono ad Albano Giuseppe Garibaldi e l'Imperatore di Germania Guglielmo II. Durante la II Guerra Mondiale, Albano fu distrutta per i due terzi dai bombardamenti.

COSA VISITARE

Museo di Albano

Nel grazioso edificio neoclassico di Villa Ferrajoli, immerso in un parco di gigantesche magnolie, ha sede il Museo Civico Albano.
La facciata dell'edificio, mossa da un avancorpo centrale a forma di pronao tetrastilo, è ornata da un bel frontone in terracotta che illustra il mito di Cerere che insegna a Trittolemo la pratica dell'agricoltura.
La delicatissima decorazione pittorica degli interni, opera di Giovanbattista Caretti, è ispirata all'arte classica e rinascimentale. Il Museo, articolato in 23 sale espositive disposte su tre piani, raccoglie reperti archeologici che vanno dal paleolitico al medioevo.
Tra i reperti più importanti ivi conservati si possono evidenziare quelli dell'antica età della pietra, associati a resti di fauna paleolitica (300.000 - 30.000 anni fa), quelli dell'età del Bronzo medio e quelli relativi alla Civiltà Laziale che nel periodo più antico, quello "Albano" (XI-IX sec. a.C.) ebbe il maggior splendore.


Sepolcro degli Orazi e Curiazi

Il monumento, che ancora oggi si erge maestoso e pieno di fascino per la sua storia, fatta di leggenda e di un po' di mistero, costituisce un unicum per la sua architettura che trova riscontro nelle urne cinerarie etrusche di Volterra. Sull'alto basamento quadrangolare, realizzato come tutto il monumento in grossi parallelepipedi di peperino, si ergevano quattro tronchi di cono sugli angoli e forse un quinto, più alto, su di una base centrale a tamburo.
Il mausoleo fu edificato in età repubblicana, nella prima metà del I sec. a.C. e quindi non può essere riferito ai mitici fratelli Orazi e Curiazi. Alcuni studiosi recentemente ritengono che questo mausoleo costituisca una erudita ricostruzione della tomba di Arunte da parte dell'antica famiglia Arruntia che qui vicino aveva i suoi possedimenti.


Villa Imperiale

La villa fu costruita nell'Albanum con grande sfarzo da Pompeo, tra il 61 e il 58 a.C., con il ricco bottino proveniente dalla guerra mitridatica. Dal figlio Sesto, che la ereditò, essa passò nelle mani di Dolabella e quindi nel patrimonio dell'Imperatore Augusto e dei suoi successori.
I ruderi, ancora maestosi, (si conserva tutto il piano terra), occupano un'estensione di ben 340 m. di lunghezza e 260 di larghezza, pari a 9 ettari di superficie. Le strutture mostrano quattro fasi costruttive relative ad ampliamenti, ristrutturazioni e restauri. Il corpo centrale della villa, rivolto verso il mare, si elevava su di una platea artificiale e raggiungeva i tre piani di altezza.
Ninfei, criptoportici, costruzioni anche isolate, abbellivano la villa assieme a numerose e preziose statue, decorazioni in terracotta policroma, fontane e giardini. Famosi, tra i reperti rinvenuti tra il 1700 e il 1800, sono l'ara marmorea sulla quale sono scolpite le fatiche di Ercole (Musei Capitolini), il gruppo di due centauri in marmi policromi e il Bacco barbato oggi nel Museo dei Doria Pamphili che all'epoca possedevano in Albano un palazzo e il parco ove affiorano i resti della Villa Imperiale.
Altri reperti sono oggi conservati nel Museo Civico di Albano.


Villa Romana ai Cavallacci

La villa, tuttora in corso di scavo, ha restituito, oltre ad una serie di strutture murarie e di ambienti con pavimenti in mosaico e in marmi policromi, anche numerosi reperti tra i quali vanno evidenziate le terrecotte architettoniche e la bella testa marmorea di Tiberio Gemello. La villa, sorta alla fine dell'età repubblicana, conobbe particolare splendore soprattutto in età tiberiana, ma continuò ad essere abitata fino al V sec. d.C.
I numerosi reperti provenienti dagli scavi, sono visibili nel Museo Civico.


Porta Pretoria e Porta Principale Sinistra

I resti della Porta Pretoria, realizzata in opera quadrata con parallelepipedi in peperino, si ergono ancora oggi imponenti. La porta, larga m. 36 ed alta m. 14, è costituita da tre fornici protetti ai lati da due avancorpi costituiti da torri rettangolari ed è articolata in due piani, con il fronte rivolto verso la sottostante Via Appia ornato da elementi architettonici e statue marmoree, di cui oggi si conservano soltanto alcuni frammenti.
Anche la Porta Principale Sinistra era costituita da tre fornici e da una posterula. Sono visibili ancora il fornice centrale, più largo dei due laterali e quello laterale destro con la vicina posterula, entrambi tamponati in età medievale.
Anch'essa, come la cinta muraria dell'accampamento, è rigorosamente costruita in opera quadrata.


Cisternoni

La grande cisterna dell'accampamento può senza dubbio considerarsi uno tra i più spettacolari monumenti di Albano e del mondo romano. La cisterna fu progettata e fatta costruire dagli architetti (praefecti fabrum) della Legione per poter rifornire d'acqua l'accampamento e le abitazioni che gravavano intorno ad esso.
La pianta è pressoché rettangolare con i lati lunghi di m. 47,90 e m. 45,50 e quelli corti di m. 29,62 e m. 31,90. La cisterna è stata realizzata in parte scavando direttamente il banco roccioso e in parte in muratura. Essa è divisa in 5 navate con volta e botte sostenute da 36 pilastri ed è rivestita da intonaco impermeabile (opus signinum).
L'importanza dei Cisternoni di Albano deriva non solo dalla loro dimensione, che permette di immagazzinare più di 10.000 m³ di acqua, ma soprattutto dal fatto che, dopo quasi duemila anni, ancora funzionano perfettamente, alimentati da condotte romane che captano le acque dalle sorgenti poste lungo i fianchi del cratere vulcanico del Lago Albano.


Terme detto di Cellomaio

Questo imponente complesso edilizio, realizzato in opera cementizia rivestita da un'elegante cortina laterizia rossastra, fu fatto costruire dall' Imperatore Caracalla per aggraziarsi i legionari Albani in rivolta dopo l'uccisione del fratello Geta.
La pianta del complesso è quadrangolare con torri-contrafforti negli spigoli. L'alzato era costituito da tre piani di cui quello inferiore con funzione di costruzione e adibito ad ambiente di servizio, mentre gli altri due piani si articolavano in grandi aule ariose e vaste, pavimentate con marmo e mosaico e provviste di grandi finestroni sormontati da arcate.
L'antico edificio, trasformato nel medioevo in roccaforte e successivamente occupato da civili abitazioni, oggi può ammirarsi quasi nella sua totalità.


Anfiteatro

Posto oltre il lato NE dell'accampamento, fu edificato nelle prime decadi del III sec. d.C. dalle stesse maestranze della Legione Albana. La costruzione, di notevole dimensione, è di forma pressoché ellittica e fu realizzata in parte scavando direttamente il banco roccioso, in parte in muratura utilizzando differenti tecniche murarie.
Dell'originario edificio rimangono il primo piano sostenuto da una trentina di fornici, parte degli ingressi trionfali e l'intera cavea che misura nell'asse maggiore m. 113.
In origine l'anfiteatro raggiungeva un'altezza di circa 22 metri. Nel medioevo divenne cava di materiali e cimitero cristiano. Di questa fase rimangono due oratori, uno ricavato nel III fornice e uno scavato completamente nella roccia sul lato sinistro del parapetto della cavea all'altezza dell'arena.


Catacombe di San Senatore

Sono ubicate lungo la via Appia Antica al XV miglio da Roma sul luogo in cui preesisteva una cava di pozzolana di epoca romana. La riutilizzazione della cava come cimitero cristiano avvenne tra la fine del III e gli inizi del IV sec. d.C.
La fama che godettero queste catacombe fin dal tardo antico era dovuta alla presenza dei corpi di santi e martiri come ricorda chiaramente il martirologio geronimiano.
La catacomba albana è la maggiore e la più importante tra quelle suburbicarie. Nella cripta centrale sono ben conservati vari affreschi tra i quali quello che raffigura San Senatore titolare della Catacomba (fine IV inizi V sec d.C.), quello che raffigura Cristo tra i martiri e gli sponsores (fine V sec. d.C. inizi VI sec. d.C.) e quello di età medievale (XI-XII sec. d.C.) con il Cristo Pantocrator tra la Madre di Dio e S. Smaragdo.
Un altro interessante affresco è posto nell'abside della cripta minore. I reperti rinvenuti negli scavi sono esposti al Museo Civico Albano.


La Cattedrale

Sorge sulle rovine dell'antica basilica fatta costruire dall'Imperatore Costantino.
Nella cripta sottostante il presbiterio sono conservati ancora alcuni dei capitelli ionici dell'antica basilica paleocristiana che Papa Leone III (795-815) fece riedificare dopo un furioso incendio. Dopo una serie di vicissitudini e di modifiche come la costruzione della sagrestia e di un piccolo cimitero attiguo, nel 1772 il Cardinale Fabrizio Paolucci fece costruire l'attuale facciata su progetto dell'architetto Carlo Buratti mentre l'odierno aspetto della basilica si ebbe soltanto nel 1913 a seguito di nuovi adeguamenti e restauri eseguiti per più di 50 anni con il concorso finanziario del popolo di Albano.
Con questi restauri furono messe a vista una serie di colonne della cattedrale medievale di Leone III e la Chiesa fu dedicata, oltre che a S. Giovanni Battista anche a S. Pancrazio entrambi protettori di Albano.
L'interno della chiesa di gusto neoclassico, è ripartito in tre navate con 6 cappelle laterali ove sono collocate, come nella sagrestia, interessanti dipinti del XVIII secolo. Il monogramma di Cristo troneggia nell'abside sopra tre grandi quadri raffiguranti rispettivamente la gloria di S. Pancrazio (centro), l'apparizione a Costantino della Santa Croce (destra) e il rinvenimento della Santa Croce da parte di S. Elena (sinistra).
Nella cattedrale è conservato uno splendido sarcofago marmoreo paleocristiano con figura di orante centrale. Poco distante dalla cattedrale su via A. De Gasperi è situato il grazioso palazzo episcopale costruito nel 1725 dal Cardinale Nicola Lercari Segretario di Stato di Papa Benedetto XIII.


Chiesa di San Pietro Apostolo

L' antica chiesa voluta da Papa Ormisda (514-523 d.C.) fu ricavata da una grande aula delle terme romane fatte costruire dall'Imperatore Caracalla.
Il più importante dei numerosi restauri avvenne nel tardo medioevo (XII sec.), mentre nel XIV sec. si effettuarono una serie di modifiche delle quali ancora oggi rimangono tracce, come l'arco ogivale a due spioventi con mensole e colonne di marmo, posto sopra una porta del lato occidentale della chiesa.
I Savelli nel 1440 vennero in possesso dell'antica chiesa e nella cappella, oggi distrutta, seppellirono alcuni loro familiari.
Le tombe principesche sono ora visibili all'interno della chiesa.
Qui sono conservate, trasformate in altari o balaustre, anche stupende trabeazioni marmoree di età severiana.
Alcune pareti conservano ancora pregevoli affreschi come quello posto in una nicchietta della Vergine del Segno di età bizantina e quello più grande raffigurante S. Margherita e S. Onofrio, databile tra il XIII e il XIV sec. d.C.
Pregevoli sono anche la grande pala dell'altare del XVI sec. che raffigura la consegna della chiavi a S Pietro e gli stendardi settecenteschi.
Sul lato orientale esterno della chiesa si possono ammirare due notevoli trabeazioni di età imperiale finemente decorate, utilizzate come stipiti della porta e il bel campanile romanico del XII secolo.


Santa Maria della Rotonda

Il santuario di S. Maria della Rotonda sorge su di un grazioso ninfeo che costituisce un interessante precedente architettonico del famoso Panteon di Roma.
La chiesa fu consacrata nel 1060 anche se l'uso ecclesiale è attestato dal IX secolo.
Alle trasformazioni seicentesche che subì l'edificio, si aggiunsero quelle settecentesche e ottocentesche finche nel 1938 l'edificio di età romana fu riportato all'originario splendore.
L'interno della Chiesa è molto suggestivo:sull'altare centrale è esposta un'antica icona della Madonna con il Bambino di stile bizantino ridipinta nel XV secolo, mentre nei catini a destra dell'altare si conservano resti di affreschi il più completo dei quali è quello della "storia della vera Croce" databile al XIV secolo. Sull'altare laterale destro è conservato un altro affresco del XIII secolo attribuito al Cavallini che raffigura S. Anna con S. Giovanni e S. Ambrogio. Gli altari della chiesa sono stati eretti su preziosi frammenti architettonici di età severiana, come pure della stessa età, sono gran parte dei reperti archeologici conservati nella sagrestia e nel vano del bel campanile romanico.


Convento e Chiesa di San Paolo

Furono costruiti intorno al 1282, in un proprio fondo, dal Cardinale Giacomo Savelli poi divenuto papa con il nome Onorio IV.
Nel 1710 il pittore G. van Wittel, in occasione della visita ad Albano di Papa Clemente XI Albani, ritrasse in una splendida tela (oggi al Museo Pitti di Firenze) la chiesa e l'annesso convento.
Nel 1769 il Cardinale Marco Antonio Colonna restaurò completamente l'intero complesso modificandolo in parte, soprattutto nell'interno della chiesa ove è presente un gusto baroccheggiante piuttosto rielaborato, mentre la facciata denota uno stile neoclassico ottocentesco.
Tra le tele seicentesche e del settecento, poste negli altari, è da notare quella dietro l'altare principale ove è raffigurata l'unzione di S. Paolo, opera tardo seicentesca di un pittore della scuola di Pietro da Cortona.
La volta della navata è decorata con un bell'affresco ottocentesco attribuibile al Gagliardi molto attivo in quel tempo in Albano.
Nella cappella sinistra, sotto l'altare, è conservato il corpo di S. Gaspare del Bufalo, fondatore dei P.P. Missionari del Preziosissimo Sangue.


Convento e Chiesa dei Cappuccini

L'intera costruzione fu realizzata secondo i classici criteri dell'architettura conventuale nel 1619.
La chiesa, ad unica navata con due cappelle laterali, rispecchia completamente la semplicità dello spirito francescano. Sull'altare maggiore campeggia una bellissima pala di notevoli dimensioni firmata dal pittore Gherardo delle Notti (G. van Honthorst) e datata 1618. Nel dipinto la principessa è rivolta verso la Madonna con il Bambino mentre S. Bonaventura è assorto nella visione di S. Francesco. Sullo sfondo si può scorgere il convento di Palazzola con il retrostante Monte Cavo. Nella cappella di destra è collocato il gruppo scultoreo della natività: il Bambino è circondato dalla Vergine Maria, S. Giuseppe, il bue e l'asinello.
L'opera è stata eseguita intorno al 1633 da A. Bolgi e da S. Speranza, artisti della scuola del Bernini.


Convento e Chiesa di Santa Maria della Stella

Il convento e la chiesa furono costruiti, in varie fasi e con vicissitudini alterne, intorno alla metà del XVI secolo, probabilmente ove era sorta la chiesa paleocristina di S. Senatore, sopra le catacombe omonime.
Solo nel 1687, con il contributo decisivo del Comune di Albano, finalmente la chiesa e il convento raggiunsero lo stato attuale. L'altare maggiore, ornato da marmi policromi del '700, è come il resto delle decorazioni della chiesa, di gusto barocco. Alle spalle di questo altare si erge una struttura con timpano, che al centro accoglie il quadro della Madonna con Bambino contornato da angeli. Il manto della Vergine è ornato da una stella: da ciò deriva il nome della chiesa. Quattro statue in gesso sormontano il muro che divide a metà il presbiterio. Splendido sulla parete di fondo è lo stemma dei Principi Savelli signori di Albano per parecchi secoli. Accanto alla chiesa è posto il cimitero storico comunale il cui accesso originario, costituito da un portale classico con colonne di granito e marmi bianchi, conserva l'iscrizione recante l'anno della sua consacrazione 1833.


Cappella del Seminario Diocesano

Nel vasto edificio del seminario della diocesi di Albano, addossato e in parte circoscritto da possenti tratti di mura dell'accampamento della II Legione Partica, particolare interesse riveste la cappella, impreziosita da un notevolissimo complesso di icone orientali realizzate tra il 1996 e il 1998, secondo lo stile e le tecniche pittoriche russe del 1400-1500, su commissione di Mons. Dante Bernini, Vescovo di Albano.

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27/05/2006 14:54

AGOSTA NELL’ERA MODERNA

Nel 1909 fu eletto abate del Monastero di Subiaco Mons. Lorenzo Salvi, che diven­ne Ordinario nel 1917 e poi Vescovo nel 1927. Con la fine dello Stato della Chiesa, quando il castello di Agosta fu annesso al Regno d'Italia, esso divenne Comune e prese ad essere governato da un Consiglio Comunale, presieduto da un Sindaco, che era coadiuvato da una Giunta Municipale. Agli inizi del XX° sec. e precisamente il 31 dicembre 1900 Agosta fu servita da una linea ferroviaria, che da Mandela giungeva fino a Subiaco. Il servizio rimase in vigore fino al 1933. I binari, nonostante che la linea fosse stata soppressa, rimasero in loco fino agli anni 1940/41. Quando il servizio del treno fu soppresso, questo fu sostituito con auto­bus della ditta Bona di Roma. Nel 1913 fu costruito ad Agosta il primo acquedotto, che all'inizio alimentava solo le due fon­tane, che si trovavano una al Rione Castello e l'altra nel Rione la Porta. Le utenze private erano soltanto tre. Il 13 gennaio 1915 Agosta fu sconvolta da un violento terremoto, il cui epicentro si ebbe nella vicina Marsica. Non ci furono per fortuna vittime, ma solo danni e tanto spavento. In occasione del primo conflitto mondiale circa 800 agostani partirono, per difendere i sacri confini della Patria, minacciati dal nemico austriaco. Dei combattenti 26 restarono sul campo di battaglia. Il 27 gennaio 1924 giunse ad Agosta l'energia elettrica ed i vecchi e romantici lampioni a petrolio furono messi a riposo. Fra il 1922 ed il 1926 la società dell'Acqua Pia Antica Marcia ricondusse a Roma le acque della Sorgente della Mola. Ma non contenta di ciò, voleva captare anche l'ultima sorgente rimasta a disposizione degli Agostani, quella della Fonte, che si trovava vicino al Santuario della Madonna del Passo. Ne scaturì una vera e propria rivolta. Le forze dell'ordine, intervenute per sedare la sommossa, furono anch'esse aggredite con violenza. Il 6 aprile il paese fu letteralmente assediato da carabinieri e da molti militi; venne imposto persino il coprifuoco e a nessuno fu permesso di lasciare l'abitato, neppure per andare ad accudire alle bestie, che erano nei casali fuori il paese. Chi tentò di forzare il cordone protettivo fu respinto all'interno in malo modo. Nei giorni dell'assedio ebbero luogo scontri ed atti di violenza; delle vere e proprie sassaiole, l'intifada agostana, investirono gli assedianti, vi furono tra essi anche dei feriti. Alla fine la popolazione di Agosta ebbe la meglio, infatti, la sorgente della Fonte rimase agli Agostani, ma solo per poco, perché qualche anno più tardi, dimenticata la contestazione, essa fu captata ed allora nessuno mosse una paglia. In occasione della Seconda Guerra Mondiale Agosta, che mai aveva aderito pienamente all'ideologia fascista portò per ben nove mesi e precisamente dal 10 settembre 1943 al 9 giugno 1944 l'occupazione nazista, mai collaborando con il nemico. Anzi, in quel periodo operò nel territorio agostano una vera e propria banda partigiana
Dalla fine del secondo conflitto ad oggi Agosta è andata sempre avanti nel suo cammino di progresso e di conquiste sociali, culturali ed economiche. Essa oggi si presenta come una moderna ed accogliente cittadina, protesa verso il futuro di progresso e di sempre maggiori e durature conquiste.
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22/05/2006 15:28

AGOSTA

Le origini

Don Luigi urbani, parroco di Agosta dal 1883 al 1933, in un inventario da lui compilato nell'anno 1883 ed attualmente conservato nell'Archivio Parrocchiale di Agosta, nel capitolo intitolato "Origine di Agosta" sostiene che gli storici Jannuccelli, Palmieri e Gori concordemente fanno risalire l'origine di Agosta, come municipio, al VII secolo dell'era volgare, mentre come villaggio, ossia come unione di cento o più individui, la sua origine risale al III o al II secolo della Chiesa. I suoi primi abitanti furono senza dubbio, dice sempre il parroco Urbani, le migliaia di uomini i quali erano intenti al colossale lavoro di costruzione degli acquedotti. "Al certo", dice ancora l'Urbani, "La sera questi dovevano pernottare in qualche paese limitrofo. In quell'epoca paesi vicini preesistenti ad Agosta non c'erano. Infatti Marano è parto di Agosta, Cervara e Rocca Canterano sono fuori discussione perché contano la loro nascita verso il 1200. È d'uopo dunque concludere che quei popolani, costretti dalla necessità, formassero un piccolo borgo in questa amena collina, distante 200 metri dal luogo nel quale avessero le residenze e nello stesso tempo la custodia del grande acquedotto…". Da tutte queste notizie scaturisce con certezza che i primi abitanti della zona furono gli schiavi, le maestranze e i custodi degli acquedotti, che molto probabilmente avevano le loro capanne e le loro case intorno alle sorgenti stesse. Giuseppe Panimolle scriveva nel suo libro che nel territorio di Agosta, prima della colonizzazione romena, si stanziarono dapprima gli ITALICI, che vi lasciarono importanti resti nelle località Castellone, Lavoratine e Cisterna, poi i LATINI, che vi si stanziarono intorno all'anno 1000 a.C. e lasciarono tracce del loro insediamento nelle località di Ruttoli e Cisterna. Nel 304 a.C. quando gli EQUI furono definitivamente sottomessi al dominio Romano, nella Valle si insediò la Tribus Aniensis, appositamente inviatavi dai Romani, affinché colonizzasse la zona. Dalla sconfitta degli Equi alla caduta dell'Impero Romano la Valle dell'Aniene rimase legata, nella buona e nella cattiva sorte, ai destini di Roma. Fin dal tempo della definitiva sconfitta degli Equi nel territorio di Agosta furono captate sorgenti, che dovevano servire a rifornire di acqua la città di Roma, che diventava sempre più popolosa.

Il Medioevo

Alla caduta dell'Impero Romano d'Occidente (476 d.C.) gli acquedotti abbandonati caddero in rovina. Tutta la zona fu percorsa dai barbari. I suoi abitanti allora, per difendersi, si stanziarono sulle colline, dando cosi origine a tutti quei paesi che ancora oggi esistono. Quando venne a mancare il potere di Roma, la Valle dell'Aniene rimase per qualche tempo senza autorità civile, in balia delle orde barbariche, che la misero a ferro e fuoco. Essa rimane nell'abbandono più totale fino a quando non ne assunsero la guida sia civile che religiosa i monaci di San Benedetto. Questi allora radunarono le genti disperse, le riportarono all'agricoltura, insegnando loro le nuove colture, come quelle della vite e dell'olivo; le protessero, grazie al loro prestigio, dalle molte angherie di quei popoli incivili e così piano piano nella vallata riprese la vita e il cammino verso la civiltà. Fino all'anno 1051 tutte le Bolle Papali, che si occupavano della zona, citano l'Acqua Augusta e a questa associano il monte che sovrasta le sorgenti e lo denominano Monte Augusta. Un privilegio di Papa Giovanni XVIII dell'anno 1005 afferma: "Concediamo un casale che si chiama Augusta con l'intero monte, dove si sta costruendo un castello…". Nell'anno 1015 papa Benedetto VIII conferma: "Concedimus casale qui vocatur Augusta cum monte in integro ad castellum faciendum…". Il privilegio di Papa Leone IX del 31 ottobre 1051 invece afferma: "Confermiamo e consolidiamo alla vostra giurisdizione (il Papa si rivolge all'abate di Subiaco) il casale chiamato Augusta con l'intero monte dove è stata costruita la fortezza…". Già in un atto stipulato nel 1044 tra il Vescovo di Tivoli e l'Abate di Subiaco viene detto che quanto segue fu firmato dagli interessati: "In castro Augustae" cioè "Nel castello di Agosta". Da tutti questi documenti, in verità molto attendibili, infatti, ad emanali sono stati pontefici, si evince senza alcuna ombra di dubbio, che Agosta come castello risale all'anno 1051. Nel corso di tutto il medioevo gi abitanti del castello, sotto la giurisdizione dell'abate di Subiaco, vissero autarchicamente, dedicandosi soprattutto all'agricoltura, alla pastorizia e all'artigianato. I terreni coltivati erano per lo più possesso dei monaci di San Benedetto e per questo al momento del raccolto i prodotti della terra, spettanti al Monastero, venivano ammassati nella casa dei Monaci, che era situata al centro del castello, cioè nella parte più sicura. Il castello di Agosta nel suo primo secolo di vita ebbe vita abbastanza serena e tranquilla, ma negli anni che vanno dal 1145 al 1176le cose non andarono altrettanto bene, infatti, esso fu il campo di battaglia di sanguinose lotte, che scoppiarono tra il signorotto di Agosta, Filippo, nipote dell'abate Pietro IV ed il successore di questo, Simone l'abate di Cassino. Filippo, uomo crudele, sleale ed assetato di potere, entrato in lotta con il nuovo abate a lui non gradito, giunse persino a farlo prigioniero ed a rinchiuderlo per qualche tempo nella torre del castello di Agosta. In seguito per motivi di sicurezza lo affidò a Riccardo di Arsoli. Più tardi però l'abate Simone fu liberato e tornò a reggere l'abbazia, vendicandosi sul suo nemico. Così Filippo perse ogni suo possedimento. Questi allora, non potendo più tener testa all'abate Simone, chiese aiuto a Federico Barbarossa che nel 1174 inviò nella zona le sue truppe, guidate dall'Arcivescovo di Magonza. Questi assediò il Castello di Agosta, lo espugnò e quindi lo bruciò. La guerra durò fino all'anno 1176 quando finalmente giunse la pace. Dopo questo periodo così tormentato il Castello di Agosta poté finalmente godere di un secolo di pace e tranquillità. Nel 1382 Agosta fu al centro di una clamorosa vicenda giudiziaria, di cui furono protagonisti i figli di Omodidio, Cicco e Cola. Questi con la madre Agnese, moglie di Cicco, furono accusati di alto tradimento, per aver consegnato le chiavi della fortezza di Agosta a Nicola Colonna, che la occupò, mettendola a ferro e fuoco, razziando e violentando le donne e causando agli abitanti e all'abate danni per 3000 fiorini d'oro. Dapprima essi furono condannati a morte, anche se questi si dichiararono sempre innocenti, sostenendo che le chiavi della fortezza erano state consegnate dai Colonna da un loro servo, un certo Guastalamarca, che poi si era rivelato come spia ed amico del Colonna. Il tribunale, dopo un lungo processo condannò al taglio della testa e alla confisca dei loro beni.
Ma più tardi nel processo d'appello il giudice riconobbe la buona fede ai condannati e li assolse dall'accusa di alto tradimento, ma lì condannò a pagare i danni provocati dentro le mura dalle truppe del Colonna. I feudatari di Agosta pagarono i 3000 fiorini d'oro e tornarono nell'amicizia dell'abate di Subiaco.

I secoli XV - XVI

Visto che il governo dell'abate di Subiaco, nel corso dei secoli, aveva causato spesso disordini, lotte e seri turbamenti per le locali popolazioni, dalla metà del XV secolo l'Abbazia di Subiaco e di conseguenza il castello di Agosta passò sotto la giurisdizione di un Abate Commendatario, inviato direttamente dal Papa. Questi privò l'Abate di Subiaco di ogni potere temporale, prese in custodia i beni dell'Abbazia, prese a riscuotere le gabelle e ad appianare le controversie, sorte nel feudo. Tra gli Abati Commendatari, che governarono l'Abbazia, ricordiamo il cardinale Giovanni Torquemada, che nel 1456 diede a Subiaco ed all’Abbazia uno Statuto, che fece tornare l'ordine, la pace e la serenità, cose che non erano esistite nei periodi precedenti durante il governo dei vari abati. Dopo il Torquemada il papa Sisto IV nominò commendatario di Subiaco un cardinale spagnolo, Rodrigo Borgia e quando nel 1492 questi fu eletto papa con il nome di Alessandro VI, la Commenda di Subiaco fu affidata al cardinale Giovanni Colonna, come premio dell’appoggio che questi aveva offerto al nuovo pontefice in occasione del conclave. Più tardi però, Giovanni Colonna venne in dissidio con Alessandro VI e quindi fu costretto a lasciare Subiaco ed a fuggire nel regno di Napoli. Alla morte di Alessandro VI, avvenuta nel 1503, Giovanni Colonna poté ritornare a Subiaco. Il suo ritorno fu molto festeggia­to dagli abitanti dell'Abbazia. Gli Agostani, da parte loro, in onore del cardi­nale, eressero lungo la via Sublacense un bellissimo arco, lo stesso che oggi si può ancora ammirare in paese in località la Porta. Quando il cardinale Giovanni Colonna morì, divenne abate commenda­tario il nipote di questo, Pompeo Colonna e più tardi, vale a dire nel 1513, la Commenda di Subiaco toccò ad un altro Colonna, di nome Scipione. Quando questi, in lotta con un'altra fami­glia nobile romana, gli Orsini, cadde in battaglia, l'Abbazia di Subiaco ritornò nelle mani del vecchio Pompeo, che due anni più tardi la cedette ad un altro suo nipote, Francesco. Nel 1559 la Commenda di Subiaco fu affidata ancora ad un Colonna, Marcantonio, grazie al quale per l'Abbazia iniziò un lungo perio­do di pace e di rinascita. I Castelli dell'Abbazia, compreso quello di Agosta, rinacquero pertanto a nuova vita. Nel 1592 a Marcantonio Colonna subentrò Ascanio Colonna, che non aveva però le stesse doti dello zio, al contrario questi fu forse uno dei peggiori abati commendatari di Subiaco. Alla sua morte, avvenuta nel 1608, i Colonna persero definitivamente la Commenda di Subiaco, infatti, papa Paolo V la affidò ad un cardinale della sua fami­glia, cioè a Scipione Borghese, che la tenne fino al 1633. Nel 1638 il castello di Subiaco fu retta da appartenenti alla nobile famiglia dei Barberini. L'ultimo di questa fu il cardinale Francesco. Dopo di lui la commenda passò al cardinale Giovan Battista Spinola, che la tenne fino 1752 Dal 1754 fino al 1870 nel governo dell’abbazia e quindi del castello di Agosta si succedettero: il cardinale Severino Canale e il cardinale Giovannangelo Braschi, eletto poi papa con il nome di Pio VI. Dal 1804 al 1815 resse la Commenda di Subiaco il cardinale Pier Francesco Galleffi. Gli successe il cardinale Ugo Pietro Spinola, che governò fino al 1846. Dal 1846 al 1878, l'abate commendatario di Subiaco fu lo stesso papa Pio IX. Dal 1878 al 1891 la Commenda passò al cardinale Raffaele Monaco Lavalletta. Il dodicesimo commendatario di Subiaco fu il cardinale Luigi Macchi, che governò fino al 1906. L'ultimo reggitore della Commenda sublacense fu S. Pio X, come attesta anche un'iscrizione, che si trova in una colonnina della balaustra del sagrario della chiesa parrocchiale. Il 21 marzo 1915 il pontefice Benedetto XV soppresse definitivamente la Commenda, che durava dal 1456.



( tratto dal sito http://digilander.libero.it/agostaonline/ )

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