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Rubino

Ultimo Aggiornamento: 06/08/2004 14:41
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25/06/2004 12:08

Il rubino è una varietà rossa di corindóne, od ossido d'alluminio, in cui i cristalli hanno forma di prismi a base esagonale e contengono, a volte, inclusioni minutissime d'altri minerali, come mica o ematite. Tali inclusioni sono particolarmente importanti poiché permettono di distinguere le pietre naturali da quelle sintetiche. Il colore rosso è definito da una soluzione solida d'ossido di cromo, contenuto in quantità tanto piccole da essere identificabile solo ad un esame spettroscopico. Se si guarda un rubino secondo la base appare rosso intenso mentre, se si analizza da una coppia di facce del prisma appare di colore rosso viola. Per aumentare l'intensità del rosso, valorizzando la pietra, si preferisce solitamente, nel taglio a brillante o a smeraldo, far coincidere la tavola con la base del cristallo. Caratterizzato da una lucentezza vetrosa, a volte, si osserva sulle superfici di base una luminosità perlacea.
Il valore di un rubino è basato primariamente sull'intensità e la purezza del colore: l'assoluta trasparenza, la brillantezza, l'assenza d'incrinature e sulle proporzioni eccellenti della pietra. Va da sé che ogni riduzione di qualità porta ad una diminuzione proporzionale del valore. Esistono rubini di varie tonalità: dal rosa al rosso intenso. La varietà più pregiata è quella color "sangue di piccione", che in Asia si indica come "gocce del cuore della terra". Altri caratteri contraddistinguono altresì questo cristallo: l'elevato peso specifico, la resistenza alle scalfitture (nella scala di valori Mohs il rubino ha una durezza seconda solo al diamante) e la freddezza al tatto. Per la considerevole durezza i rubini di scadente valore sono utilizzati nella tecnologia laser e in polveri abrasive per lucidare gemme più tenere. A differenza d'altre pietre rosse, il colore del rubino non si modifica passando dalla luce naturale a quella artificiale. Nella gioielleria antica i rubini erano utilizzati principalmente in forma di cabochon per preservarne la massima caratura.

Birmania e Sri Lanka erano già conosciuti dai viaggiatori europei del 15° secolo. Scriveva il mercante gioielliere francese Jean Baptiste Tavernier nella seconda metà del 1600: "…da Pegu [in Birmania n.d.r.] provengono i rubini perfetti che sono distribuiti in tutto il mondo" e descrivendo il celeberrimo trono "del Pavone" visto alla corte dell'imperatore Moghul Aurangzeb, riportava " … sopra il baldacchino è un pavone d'oro cesellato con un rubino sul petto ... quando il sovrano è assiso in trono un gioiello trasparente, formato da un diamante di 80 o 90 carati circoscritto da rubini e smeraldi, gli pende di fronte agli occhi." Altri rubini hanno lasciato la loro fama nella storia. Un rubino stellato di 2967 carati venne trovato a Sri Lanka nel 1934 ed un altro di 250 carati fu incastonato nella corona di San Venceslao a Praga.
La prima sintesi del rubino fu realizzata nel 1837, ma il metodo pratico per ottenere rubini sintetici di qualità accettabile, anche detti "rubini ricostruiti o artificiali", fu messo a punto nel 1891 dal chimico francese Auguste Verneuil e reso pubblico solo nel 1902. Il procedimento consiste nella fusione su fiamma ad idrogeno o ossigeno una fine polvere d'ossido d'alluminio, cui è aggiunto un metallo colorante desiderato.
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